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Come iniziare la mia Rubrica di “Magici Sapori” se non con lo chef che ha uno dei 20 ristoranti migliori del mondo?
Per chi non lo conosce, lui è Fabio Picchi, Il Cuoco. Nato a Firenze il 22 giugno 1954 e ivi cresciuto, a soli 25 anni apre il suo primo ristorante, Il Cibrèo, e la trattoria affianco, detta Il Cibreino, a due passi dal mercato di S. Ambrogio, in pieno centro a Firenze. Dieci anni dopo, apre di fronte al Cibrèo anche il Caffè del Cibrèo, un Bistrot molto carino aperto anche a pranzo.
Innamoratissimo di sua moglie, l’attrice, autrice e regista Maria Cassi, nel 2003 decide di farle un regalo. Un regalo che però doveva fondere in sé le loro diverse e potenti passioni: la cucina e il teatro. Apre così il meraviglioso Teatro del Sale.
Correva l’anno 2005, per me l’anno della maturità. Un giorno decidemmo, insieme a qualche amico, di andare a mangiare fuori a pranzo dopo la scuola.
Uno di loro ci guidò al Teatro del Sale, di cui io non avevo mai sentito parlare.
Rimasi sconvolto (in senso positivo). Era qualcosa di… particolare. Ma bello!
C’era Fabio Picchi che urlava dalla finestra della cucina, diceva quello che stava per sfornare. Ci urlava consigli su come gustare i suoi piatti. Si arrabbiava se qualcuno mischiava le pietanze con sapori diversi. Sparava battute e si preoccupava che stessimo bene.
Quel giorno mi innamorai di quel posto. Semplice, diverso, amorevole, sereno. Gusti il buon cibo, quello vero. È… particolare. Ma stupendo!
Dato che, ad oggi, lavoro per la Rivista internazionale TopTime, qualche mese fa sono stato suo ospite al Cibrèo, dove il suo braccio destro (Francesco) e le direttrici del Ristorante, mi hanno fatto passare una delle migliori mangiate della mia vita.
Ho assaggiato molte delle sue pietanze e ho visto come le due direttrice accolgono i clienti. Ho capito tutto.
Vedete signori, la differenza tra uno chef e Fabio Picchi, tra un ristorante e il Cibrèo, tra il nutrirsi e il mangiare, non sta tanto nella bravura di cucinare.
La differenza tra questi è la più antica del mondo, quella che ci ha creato: l’Amore.
Mi dite quando vi è successo che un cameriere si sedesse accanto a voi, come un amico, per esporvi “quello che c’è” e descrivere dettagliatamente ogni pietanza? Al Cibrèo è la regola.
Mi dite quando vi è successo che, lo stesso cameriere che vi porta il piatto in tavola, vi consigliasse come gustarlo? Al Cibrèo è d’obbligo.
Mi dite quando un cuoco ha mai studiato, progettato e cucinato qualcosa, non solo che realizzi il palato, ma che facesse bene anche all’organismo? Per Fabio è l’unica ragione di vita.
Il mangiare bene non vuol dire mangiare tanto o mangiare pesante. Un piatto, anche il più semplice, è buono quando è fatto con il cuore. Con il cuore di un babbo.
Fabio ha imparato a cucinare a casa sua, in una cucina povera, semplice, saporita alla toscana e arricchita con l’amore della mamma.
Nel suo libro “Ho fame di te e di paradiso”, scrive il suo “Elogio della cucina bassa”:
Nel mio quotidiano elogio della Cucina bassa, letto ciò che scriveva Proust nel suo elogio della musica popolare, non ho alcun dubbio che tutti noi riponiamo lì, come nella musica, la certezza delle nostre emozioni più fragili e intime. Così, assodato che un Lucio Battisti, un Lucio Dalla o un John Lennon, come un Mozart, circoscrivono con la loro arte ciò che di più prezioso si possa mai “avere”, trasformandoci in persone capaci di “essere” migliori di quel che saremmo senza di loro, è dunque, per esempio nella memoria di un bollito avanzato, o nelle centinaia di piatti di donne, madri, cuoche o di chiunque esprima il desiderio di dare cibo, cosciente della propria responsabilità amorosa, che io percepisco il riaffiorare di memorie indelebili formative.
Ed è lì che oggi vado a ricercare ciò che di più grezzo e intimo ho nel mio cuore, nel mio amare, sopra ogni cosa lo stare insieme ad altri intorno a un tavolo, condividendo in prima istanza l’altrui bagaglio e il mio.
Cucinate come sapete fare senza nessun timore, senza nessuna ansia. Vi ritroverete così a soffriggere anche per amore. Fonderete così memorie pronte a esplodere nel futuro, inseminando ciò che sarà. Cucinate e soffriggete per chi vi pare, senza alcuna distinzione. Di amore si sta parlando.
Io soffriggo, cucino e amo per chi mi pare, nel mio caso una moglie, dei figli, degli amici, qualche parente e tutto il resto del mondo, con albe e tramonti, più tutte le sue differenze.
Quando andate a mangiare al Cibrèo o al Teatro del Sale o al Cibreino, non vi sentirete in un ristorante qualunque. Ognuno di essi ha una vetrata che separa la cucina dalla sala. Non è casuale.
Quando andrete a mangiare dal Picchi, vi sentirete graditi ospiti di un babbo che vi tratterà come i migliori amici del suo adorato figlio. E per amore di babbo, vi tratterà come se foste i suoi figli. Sarà dolce, ma anche severo. Sarà accogliente, ma anche duro. Accettatelo. Lo fa per amore. Perché lui sa che quel che vi dà fa bene al palato, all’organismo e soprattutto al cuore e alla mente.
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Per chi non lo conosce, lui è Fabio Picchi, Il Cuoco. Nato a Firenze il 22 giugno 1954 e ivi cresciuto, a soli 25 anni apre il suo primo ristorante, Il Cibrèo, e la trattoria affianco, detta Il Cibreino, a due passi dal mercato di S. Ambrogio, in pieno centro a Firenze. Dieci anni dopo, apre di fronte al Cibrèo anche il Caffè del Cibrèo, un Bistrot molto carino aperto anche a pranzo.
Innamoratissimo di sua moglie, l’attrice, autrice e regista Maria Cassi, nel 2003 decide di farle un regalo. Un regalo che però doveva fondere in sé le loro diverse e potenti passioni: la cucina e il teatro. Apre così il meraviglioso Teatro del Sale.
Correva l’anno 2005, per me l’anno della maturità. Un giorno decidemmo, insieme a qualche amico, di andare a mangiare fuori a pranzo dopo la scuola.
Uno di loro ci guidò al Teatro del Sale, di cui io non avevo mai sentito parlare.
Rimasi sconvolto (in senso positivo). Era qualcosa di… particolare. Ma bello!
C’era Fabio Picchi che urlava dalla finestra della cucina, diceva quello che stava per sfornare. Ci urlava consigli su come gustare i suoi piatti. Si arrabbiava se qualcuno mischiava le pietanze con sapori diversi. Sparava battute e si preoccupava che stessimo bene.
Quel giorno mi innamorai di quel posto. Semplice, diverso, amorevole, sereno. Gusti il buon cibo, quello vero. È… particolare. Ma stupendo!
Dato che, ad oggi, lavoro per la Rivista internazionale TopTime, qualche mese fa sono stato suo ospite al Cibrèo, dove il suo braccio destro (Francesco) e le direttrici del Ristorante, mi hanno fatto passare una delle migliori mangiate della mia vita.
Ho assaggiato molte delle sue pietanze e ho visto come le due direttrice accolgono i clienti. Ho capito tutto.
Vedete signori, la differenza tra uno chef e Fabio Picchi, tra un ristorante e il Cibrèo, tra il nutrirsi e il mangiare, non sta tanto nella bravura di cucinare.
La differenza tra questi è la più antica del mondo, quella che ci ha creato: l’Amore.
Mi dite quando vi è successo che un cameriere si sedesse accanto a voi, come un amico, per esporvi “quello che c’è” e descrivere dettagliatamente ogni pietanza? Al Cibrèo è la regola.
Mi dite quando vi è successo che, lo stesso cameriere che vi porta il piatto in tavola, vi consigliasse come gustarlo? Al Cibrèo è d’obbligo.
Mi dite quando un cuoco ha mai studiato, progettato e cucinato qualcosa, non solo che realizzi il palato, ma che facesse bene anche all’organismo? Per Fabio è l’unica ragione di vita.
Il mangiare bene non vuol dire mangiare tanto o mangiare pesante. Un piatto, anche il più semplice, è buono quando è fatto con il cuore. Con il cuore di un babbo.
Fabio ha imparato a cucinare a casa sua, in una cucina povera, semplice, saporita alla toscana e arricchita con l’amore della mamma.
Nel suo libro “Ho fame di te e di paradiso”, scrive il suo “Elogio della cucina bassa”:
Nel mio quotidiano elogio della Cucina bassa, letto ciò che scriveva Proust nel suo elogio della musica popolare, non ho alcun dubbio che tutti noi riponiamo lì, come nella musica, la certezza delle nostre emozioni più fragili e intime. Così, assodato che un Lucio Battisti, un Lucio Dalla o un John Lennon, come un Mozart, circoscrivono con la loro arte ciò che di più prezioso si possa mai “avere”, trasformandoci in persone capaci di “essere” migliori di quel che saremmo senza di loro, è dunque, per esempio nella memoria di un bollito avanzato, o nelle centinaia di piatti di donne, madri, cuoche o di chiunque esprima il desiderio di dare cibo, cosciente della propria responsabilità amorosa, che io percepisco il riaffiorare di memorie indelebili formative.
Ed è lì che oggi vado a ricercare ciò che di più grezzo e intimo ho nel mio cuore, nel mio amare, sopra ogni cosa lo stare insieme ad altri intorno a un tavolo, condividendo in prima istanza l’altrui bagaglio e il mio.
Cucinate come sapete fare senza nessun timore, senza nessuna ansia. Vi ritroverete così a soffriggere anche per amore. Fonderete così memorie pronte a esplodere nel futuro, inseminando ciò che sarà. Cucinate e soffriggete per chi vi pare, senza alcuna distinzione. Di amore si sta parlando.
Io soffriggo, cucino e amo per chi mi pare, nel mio caso una moglie, dei figli, degli amici, qualche parente e tutto il resto del mondo, con albe e tramonti, più tutte le sue differenze.
Quando andate a mangiare al Cibrèo o al Teatro del Sale o al Cibreino, non vi sentirete in un ristorante qualunque. Ognuno di essi ha una vetrata che separa la cucina dalla sala. Non è casuale.
Quando andrete a mangiare dal Picchi, vi sentirete graditi ospiti di un babbo che vi tratterà come i migliori amici del suo adorato figlio. E per amore di babbo, vi tratterà come se foste i suoi figli. Sarà dolce, ma anche severo. Sarà accogliente, ma anche duro. Accettatelo. Lo fa per amore. Perché lui sa che quel che vi dà fa bene al palato, all’organismo e soprattutto al cuore e alla mente.
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