La Lenticchia di Castelluccio di Norcia, IGP

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Buongiorno e buon Sabato a tutti. Questa settimana per "Magici Sapori" voglio presentarvi
un prodotto molto conosciuto, anche a livello internazionale, ma svelandovi qualche piccolo segreto e qualche retroscena.

Chiamata dagli abitanti di Castelluccio "Lénta", è il prodotto rappresentativo di questo piccolo paesino. L'uso di questo legume è antichissimo, come lo dimostra il ritrovamento di semi in tombe neolitiche datate 3000 A.C. E’ coltivata sul grande altipiano, all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ad un’altezza di circa 1500 mt s.l.m. La quantità di lenticchia prodotta annualmente è ovviamente limitata. Ciò la rende un prodotto di nicchia dal grande valore commerciale nonché nutrizionale.
Grazie alle condizioni climatiche piuttosto rigide in cui nasce, la lenticchia di Castelluccio è l’unico legume che non ha bisogno di essere trattato per la conservazione perché non è attaccata dal tonchio, insetto le cui larve si nutrono dei legumi.


La lenticchia di Castelluccio possiede delle notevoli qualità nutritive: tutte le sue proteine, vitamine, fibre e sali minerali la rendono ottima per chi necessita di una dieta ricca di ferro, potassio e fosforo, povera di grassi e molto nutritiva. Un’altra caratteristica importante della lenticchia di Castelluccio è la buccia sottile e tenera che consente direttamente la cottura senza ammollo, riducendo notevolmente i tempi di preparazione.
La lenticchia è una pianta annuale, che fiorisce tra maggio e agosto, appartenente alla famiglia delle leguminose. L'inconfondibile sapore, le dimensioni molto piccole, la resistenza ai parassiti e la coltivazione esclusivamente biologica, oggi ne fanno un prodotto ricercatissimo.

Come riconoscere l'autenticità
Il prodotto autentico è denominato Lenticchia IGP (Identificazione Geografica Protetta) di Castelluccio di Norcia, si distingue dalle imitazioni per le dimensioni, è molto piccola, e
per la particolare resistenza alla contaminazione da parassiti, caratteristica innata che le è conferita dall'ambiente naturale e dal clima rigido dell'altopiano di Castelluccio di Norcia.
Viene seminata, non appena il manto nevoso è completamente disciolto. Verso la fine di Luglio, massimo primi di Agosto, viene raccolta. Una volta, quando ancora non esistevano le macchine agricole, questa operazione veniva svolta esclusivamente a mano, con una tecnica chiamata in dialetto “carpitura”. Ad aiutare gli agricoltori, affluivano braccianti da molti paesi limitrofi; Gualdo, Pescara Del Tronto, San Pellegrino, per la maggior parte donne, "le carpirine". Era un lavoro faticoso e lungo, che durava settimane e terminava con grandi feste folkloristiche.
Oggi si ricorre, quasi sempre, alle falciatrici meccaniche, ma i ritmi e i "rituali", obbligatori, fanno della raccolta un momento di massimo impegno per gli agricoltori del luogo.

Fasi di lavorazione (da lenticchiaigpcastelluccio.it)
L’aratura e la semina avvengono in primavera, dopo lo scioglimento
del manto nevoso che ha ricoperto per tutto l’inverno i campi. Da quel momento fino alla raccolta la lenticchia ha bisogno solo di pioggia. E’ tradizione di Castelluccio recarsi ogni anno, a fine giugno, in pellegrinaggio a Norcia nella chiesa di Santa Scolastica ad invocare la Santa affinché  faccia  piovere sulla lenta.


Le tecniche di produzione della lenticchia sono le stesse che venivano adottate sin dai tempi antichi. Io personalmente ogni anno alla prima luna nuova di primavera semino a mano alcuni campi usando lo stesso lungo sacco di tela grezza e le stesse biffe ( le biffe sono dei bastoni che si mettono a distanza regolare le une dalle altre per segnalare la parte del campo seminato) che usava mio nonno. Dopo un mese e mezzo dalla semina si ha la fioritura
dei campi della lenticchia, un esplosione di colori unica nel suo genere. Prima i campi si colorano di giallo, dopo qualche giorno mutano nel colore rosso dei papaveri e subito dopo al blu intenso dei ciclamini.
A fine luglio fino alla prima metà di agosto si procede alla carpitura.
Dato che la pianta della lenticchia e troppo bassa (solo di rado supera i 30 centimetri) e molti campi sono sassosi, la carpitura richiede particolare attenzione e molto tempo. Nel passato questa operazione veniva fatta totalmente a mano, poi si è iniziato con la falce, poi si e passati all’uso delle falciatrici qualora il campo sia piano  e pulito dai sassi e la pianta della lenticchia abbastanza alta e non troppo secca. Fino alla  metà degli anni sessanta la carpitura veniva fatta dalle carpirine (paragonabili alle mondine del riso). Ogni anno all’inizio della carpitura, le carpirine salivano a piedi a Castelluccio dai paesi dell’Ascolano insieme ai mietitori.  Ogni gruppo era guidato da un suonatore d’organetto che suonando il suo strumento accompagnava il gruppo fin sulla  scalinata della piazzetta di Castelluccio ai piedi della Chiesa. In questa piazzetta la mattina si contrattava la carpitura dei campi. La contrattazione avveniva a opere. L’opera era la quantità di terreno che una carpirina doveva carpire in una giornata. L’opera di carpitura corrisponde a circa 600 metri quadrati. Durante il lavoro le carpirine usavano cantare stornelli  di rimando tra loro.


Spesso nei loro canti si poteva percepire un velo di tristezza a causa del duro lavoro e per la lontananza dalla famiglie.
Alla fine della carpitura di ogni campo il capo gruppo metteva mano al suo organetto e lo suonava a tutto fiato in modo che le sue note arrivassero molto lontano. Il suono degli organetti era diverso uno dall’altro. Chi ascoltava le note sapeva che il suonatore era Gino o Fortunato o Flaviuccio, Capone o Scaccavella. Queste note avvisavano che il gruppo  aveva finito di carpire un campo ed era libero da impegni, quindi disponibile ad iniziare un altro lavoro. Le carpirine  dormivano nei fienili, il padrone del campo che le assumeva  portava loro il mangiare. Il lavoro di carpitura iniziava al sorgere del sole e terminava quando le campane della chiesa suonavano, dopo il tramonto del sole, l’Ave Maria.
Man mano che la lenticchia viene carpita o tagliata, si raccoglie in mucchietti sul campo. I mucchietti sono piccoli e  disposti in lunghe file parallele, distanti tra loro quel tanto che basta per farci passare un trattore con il suo carrello.
Fatti i mucchietti sul campo si lasciano per alcuni giorni ad essiccare.  Per la lenticchia questo è il momento più delicato. Una pioggia abbondante potrebbe compromettere il raccolto.

Quando la lenticchia e sufficientemente secca si carica con il trattore e si porta all’aia, una zona del Pian Grande vicino alla biforcazione per la strada che porta a Forca di Presta. Questa operazione si chiama “ricacciatura”.
All’aia vengono fatti dei grandi mucchi coperti con teli per proteggerli dalle piogge. Fino a quaranta anni fa, a posto dei teli, si usavano le coperte dei letti. Le aie viste da Castelluccio apparivano piene di colori.
Dopo alcuni giorni si procede alla “trita”. Si sparge un mucchio di paglia di lenticchia per la piazza dell’aia e con “ lu  mazzafrustu”, ( due robusti bastoni legati tra di loro con una corda) facendolo roteare sopra la testa si batte sulla paglia di lenticchia  finchè i semi  non escono dai loro  baccelli. Quanto la trita e particolarmente grande si utilizzano  cavalli e muli. Si legano in fila  gli uni  agli altri. Il cavallo più vecchio e lento si mette all’inizio quello più giovane e veloce si mette per ultimo. I Cavalli e i muli si fanno trottare in girotondo   sopra la paglia di lenticchia finché il seme non esce dai baccelli. Durante la trita si cantavano stornelli, il più ricorrente era il seguente:
“……All’aia all’aia che la trita è messa
Ognuno ci si porta la ragazza
Ognuno ci si porta la ragazza
Ad ogni mazzafrustata un bacio e una carezza……”
La fase successiva alla trita è la formazione del “cantile”.
Con delle forche larghe si solleva, sbattendola in continuazione, la paglia della lenticchia tritata e si mette da parte per essere pressata in balle e portata al fienile. Una volta raccolta tutta la paglia rimane sul terreno “ la cama”. ( la cama è l’insieme  della lenticchia e pula). Con delle scope di frasche di faggio la cama viene raccolta e se ne fa un mucchio. Il mucchio della cama si chiama “cantile”.
La fase successiva al cantile è la  “scamatura”.
Questa operazione ha bisogno del soffio del vento. Il soffio del vento  deve essere continuo ma non troppo forte. La scamatura si fa gettando la cama in aria controvento. Il vento con il suo soffio allontana la pula che è leggera e fa ricadere nel cantile il seme della lenticchia. Questa operazione abbisogna di una particolare abilità che si ottiene con anni ed anni di pratica. La scamatura è fatta  dalla persona più anziana ed esperta  del Clan.( Ho usato questo termine “Clan” perché  é usanza fare l’aia insieme agli altri parenti, anche di generazioni lontane. Questa riunione di famiglie fa si che  nell’ aia ci sia  abbondante presenza di uomini, sia per lavorare,  sia per  difendere l’aia dai pericoli, quali il fuoco.)  Finita la scamatura quello che resta nel cantile è la lenticchia, il premio di una lunga stagione di lavoro. A questo punto, per soddisfare la curiosità di tutti si può, con assoluta precisione, stabilire la resa in quintali del campo. Si infila il manico della pala nel cantile e si segna l’altezza, a questo punto lo scamatore con il palmo della mano e con le dita misura  l’altezza  del cantile: il primo palmo corrisponde al primo  quintale, successivamente ogni quattro dita sono un altro quintale. (Esempio: l’altezza del cantile  misurato con il manico della pala corrisponde a un palmo e  sedici dita; la resa del cantile è di cinque quintali di lenticchia.) Per segnare e ricordare quanti quintali ha reso un campo si usava prendere un bastoncino di salvastrello e con il coltello si facevano tante tacche quanti erano i quintali. ( quelli che si incidevano sul ramoscello di salvastrello erano i quarti che corrispondevano a Kg. 33)
Oggi la pratica della trita con i cavalli e mazzafrusto è caduta in disuso. Di rado è possibile ammirare qualche vecchio contadino intento a questa vecchia pratica di lavoro. Per  motivi di praticità e per la carenza di manodopera si preferisce la trebbiatura con le mietitrebbia o con la trebbia a cintone, entrambe disdegnate e odiate dai vecchi contadini.
La fase successiva si chiama “conciatura” ed è affidata esclusivamente alle donne.
La conciatura si fa in cantina ed ha lo scopo di togliere gli altri semi e l’impurità dalla lenticchia. Si passa la lenticchia  con la conciajiola  delle pajie per togliere la paglia rimasta dopo la scamatura. Successivamente si passa con il corvello per togliere i semi piccoli dei sonapiei ( sono i semi dei fiori gialli che si vedono nei campi di lenticchia durante la fioritura) durante questa fase viene tolta anche la rimanenza della pula e di tutti le altre impurità. Si passa quindi al corvello della veccia. Successivamente si passa su  lu “capistiju” utensile fatto con un unico tronco di faggio  per la capatura a mano.  L’ultima fase della lavorazione della lenticchia e quella del confezionamento per l’invio alla  vendita.
Questo racconto è dedicato alle Carpirine della lenta.



Ricette

Ricetta tipica

Ingredienti per 4 persone

400 gr. di lenticchia di Castelluccio di Norcia
1 lt di acqua
1 gambo di sedano
1 spicchio di aglio
sale e pepe

Versare le lenticchie in un tegame possibilmente di coccio, aggiungere l’acqua, il sedano e l’aglio. Far cuocere per 40 minuti circa. A cottura quasi ultimata aggiungere sale e crostini di pane tostato e aromatizzati con un po’ d’aglio, e olio.



Lenticchie con salcicce

Ingredienti per 4 persone

400 gr. di lenticchia
4 salcicce
1 spicchio d’aglio,
1 costa di sedano

Mettete in una pentola insieme alla lenticchia  uno spicchio d’aglio e la costa di sedano tagliata a cubetti. Aggiungete dell’ acqua fredda fino coprire il tutto abbondantemente,  Portare ad ebollizione a fiamma vivace, quindi abbassare la fiamma in modo che l’acqua bolla lentamente. Al momento che occorre altra acqua, aggiungere sempre acqua bollente altrimenti si ferma la cottura delle lenticchie.
Prendetele salcicce e bucateli con un ago da lana e appena l’acqua con la lenticchia bolle adagiateli lentamente tra le lenticchie (aggiungete la passata di pomodoro) e fateli bollire insieme a fuoco lento per circa quaranta minuti.
A cottura ultimata, se occorre, aggiungete del sale.
Adagiate la lenticchia con le salcicce su quattro piatti, con un bicchiere di vino rosso di Montefalco e una fetta di pane casareccio.



Zuppa di lenticchie alla Castellucciana

Ingredienti per 4 persone
350 gr. di lenticchia
8 mezze fette di pane tostato
1 spicchio d’aglio
1 costa di sedano
sale e olio extra vergine.

Mettere le lenticchie in una pentola , aggiunge acqua fredda quanto basta per coprirla bene, 1 spicchio d’aglio e la costa di sedano tagliata a cubetti. Portare ad ebollizione a fiamma vivace, quindi abbassare la fiamma in modo che l’acqua bolla lentamente. Al momento che occorre altra acqua, aggiungere sempre acqua bollente altrimenti si ferma la cottura delle lenticchie.
Dopo circa 30 minuti di bollitura aggiungere il sale e portare la lenticchia a fine cottura facendo rimanere un po’ d’acqua di cottura.
Mettere in una scodella due fette di pane tostato versare la lenticchia con il brodo di cottura, attendere una diecina di minuti, aggiungere un cucchiaio d’olio extra vergine e servire.


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